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21.7.10

SVIZZERA: FINE DEL DIGIUNO E ARRESTI DOMICILIARI PER "IL CANAPAIO" RAPPAZ

Bernard Rappaz di fronte ai giornalisti nell'agosto 2008 a Sion (Keystone)

Il canapaio ha interrotto lo sciopero della fame iniziato in segno di protesta per la condanna detentiva. Rappaz era ad ogni modo disposto a proseguire fino alla morte, una volontà che secondo Ruth Baumann-Hölzle della Commissione nazionale d’etica andava rispettata. Sia dallo Stato che dai medici.
Il Dipartimento vallesano della sicurezza ha deciso di rivedere le modalità di esecuzione della pena inflitta a Rappaz, le cui condizioni di salute sono diventate preoccupanti.
L'agricoltore, ricoverato all'Inselspital di Berna, dovrà scontare la sua pena al suo domicilio. Sarà sorvegliato 24 ore su 24, avrà diritto a un'ora d'aria al giorno e potrà ricevere visite solo da parenti stretti e per non più di 90 minuti.
Le condizioni sono state accettate da Rappaz, il quale ha ricominciato a nutrirsi, ha indicato mercoledì la Cancelleria vallesana. La misura è provvisoria in attesa della sentenza del Tribunale federale
Ecologista e attivista per la depenalizzazione della canapa, Rappaz aveva iniziato il suo digiuno nel mese di maggio per protestare contro la condanna inflittagli per aver coltivato e venduto grandi quantità di canapa.
Nel corso degli anni Novanta, molti cantoni svizzeri hanno praticato una politica liberale, senza basi legali chiare, nei confronti del consumo di cannabis. Così, per qualche tempo era possibile acquistare marijuana negli oltre 130 canapai sorti in varie località del Paese, ciò che ha condotto a un vero e proprio turismo della canapa nelle zone di frontiera. Anche i contadini avevano scoperto una possibilità di guadagno accessorio coltivando la pianta.

Dopo questo periodo piuttosto tollerante, la situazione è cambiata. Nel 2004, il progetto del governo federale di revisione della legge sugli stupefacenti - che comprendeva il principio della depenalizzazione - è stato affossato dal Consiglio nazionale (Camera del Popolo).
Anche l’iniziativa popolare che chiedeva di depenalizzare il consumo di marijuana e di creare un mercato controllato della canapa è stata respinta dall’elettorato svizzero nel 2008.

swissinfo.ch: Prima di interrompere il suo digiuno, Bernard Rappaz aveva affermato di essere già con un piede nella fossa. La sua volontà di continuare lo sciopero della fame fino alla morte andava rispettata?
Ruth Baumann-Hölzle: Secondo me, sì. Oggi, ogni intervento medico e infermieristico va considerato come una lesione personale. Soltanto il consenso del paziente capace di discernimento dà diritto a intervenire con delle misure per salvaguardare la sua salute. Abbiamo la libertà di farci del male e normalmente il diritto all’autodeterminazione ha un peso maggiore dei compiti assistenziali dello Stato.
Fa eccezione quando una persona costituisce un pericolo per altre persone oppure quando un paziente è incapace di discernere e non ha lasciato delle disposizioni.
Quando si è chiamati ad applicare il dovere di assistenza è fondamentale soppesare fra il diritto alla difesa e il diritto all’aiuto. Spesso vengono invece presi maggiormente in considerazione la volontà e il diritto all’autodeterminazione del paziente. Ma l’idea che il paziente possa fare ciò che vuole è sbagliata.

swissinfo.ch: Uno Stato può lasciare morire un cittadino, se lui lo vuole? I medici hanno il dovere di salvaguardare e salvare la vita?
R.B.: La particolarità di questa situazione consiste nel fatto che Rappaz è in detenzione. In questo caso, lo Stato ha un accresciuto dovere all’assistenza. In questa circostanza, così come succede anche in psichiatria, può essere applicato un trattamento forzato soltanto in situazioni di eccezionale gravità.
Questo si verifica quando un paziente non è più capace di discernimento. Il diritto alla difesa non si annulla in detenzione. Le misure coercitive possono essere applicate soltanto quando una persona mette in pericolo gli altri. L’incarcerazione non ci dà quindi il diritto di applicare delle misure mediche coatte.

swissinfo.ch: Un criterio centrale è la capacità di discernimento. Lo Stato può o deve applicare delle misure forzate, se una persona in sciopero della fame non è più cosciente?
R.B.: Rappaz aveva lasciato delle disposizioni, secondo le quali non voleva essere alimentato forzatamente anche se fosse finito in coma. Visto che ha anticipato questo momento, ci si doveva attenere a questa volontà e quindi non lo si poteva nutrire con la forza, malgrado non fosse più capace di discernimento.

swissinfo.ch: Qualcuno potrebbe pensare che Rappaz volesse semplicemente evitare la sua pena detentiva e ricattare la giustizia con lo sciopero della fame...
R.B.: Rappaz è libero di rinunciare ad alimentarsi. Questa libertà della persona capace di discernimento va di principio rispettata, così come si rispetta la libertà di fumare o di bere degli alcolici, sostanze nocive alla salute. Se lo Stato avesse alimentato Rappaz con la forza, avrebbe commesso un delitto, cioè una lesione personale. Lo sciopero della fame è una forma di disobbedienza civile, con la quale si può effettivamente evitare una pena o rendere attenta l’opinione pubblica su un’ingiustizia. La decisione sull'adeguatezza di una misura disciplinare non deve però essere influenzata dallo sciopero della fame.

swissinfo.ch: Bernard Rappaz ha affermato che la morte non lo avrebbe fatto diventare un martire della legalizzazione della canapa. Condivide questa valutazione?
R.B.: È difficile da dire. Ma anche se così fosse, morire per una causa è una decisione personale di individui capaci di discernimento. La questione è piuttosto se il dovere di assistenza pone lo Stato nella condizione di essere ricattato in situazioni simili. Ciò metterebbe in pericolo l’ordine pubblico. Lo Stato deve quindi fare in modo di non essere ricattabile da persone che praticano lo sciopero della fame.

swissinfo.ch: Fino a che punto può arrivare l’autolesione?
R.B.: Non è un diritto alla rivendicazione, ma si tratta eticamente di una libertà, così come ha confermato il Tribunale federale. La società non è obbligata a mettere a disposizione mezzi per l’autolesione. L’assistenza al suicidio è tollerata in Svizzera, ma non può essere reclamata dalla società.
A Rappaz non sono state negate delle misure per preservargli la vita, bensì lui le ha rifiutate. La società ha il dovere di mettergli a disposizione degli alimenti, ma se lui non li accetta, il suo rifiuto va accettato.

Renat Künzi, (traduzione e adattamento dal tedesco, Luca Beti)

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